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Studi di settore, non basta un lieve scostamento

  • Posted by fabiomanc
  • On 6 Febbraio 2018
  • 1 Comments

Illegittimi gli accertamenti basati su studi di settore in presenza di scostamenti di lieve entità.

L’accertamento basato sulle risultanze degli studi di settore trova il proprio fondamento principalmente nell’art. 62-sexies, DL n. 331/93 il quale prescrive che gli accertamenti analitico-presuntivi possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi/compensi dichiarati dal contribuente rispetto a quanto desumibile dagli studi di settore.

In tema di accertamenti basati da studi di settore è pacifico in giurisprudenza che:
1)       il risultato degli studi di settore ha valore di “presunzione semplice”;
2)       che tale presunzione debba  avere il requisito della gravità e della precisione e debba raccordarsi con altri elementi e circostanze probanti.

Per avere un’idea circa la misura che dovrebbe avere uno scostamento “grave” è sufficiente far riferimento ad una ormai costante giurisprudenza che ha stabilito consolidati  principi procedurali e sostanziali in tema di accertamento da studi di settore:
– La CTP di Milano, Sez. VIII, con la sentenza del 13 aprile 2005, ha quantificato l’entità della “grave” incongruenza, affermando che, per la sussistenza della stessa, “l’importo dei ricavi non dichiarati rispetto sia a quelli dichiarati sia a quelli determinabili in via presuntiva, non dovrebbe essere inferiore al 25-30%.
– La CTP di Macerata, nella sentenza n.9 del 08/02/2006 ha  affermato che “per l’esistenza del requisito della gravità dell’incongruenza l’Ufficio deve produrre elementi di sicura affidabilità logica che possono far desumere l’infedeltà della dichiarazione del contribuente. Per la sussistenza di gravi incongruenze l’importo dei ricavi non dichiarati determinati in via presuntiva, non può essere di lieve entità.

Nel caso di specie lo scostamento di una percentuale pari a circa il 10% di quanto accertato in forza dello studio di settore è stato ritenuto insufficiente per integrare il requisito di grave incongruenza che legittima l’accertamento induttivo.
– La CTP di Lecce n.47 del 07/02/11 ha ribadito la posizione espressa dalla CTP di Milano che aveva individuato una percentuale minima di distacco dai valori dichiarati di almeno il 25-30% per far sì che si configuri una “grave incongruenza”
– la Cassazione, con la sentenza della n.3923 del 17 febbraio 2011 ha affermato che  l’accertamento analitico-induttivo di cui all’articolo 39, comma 1, lettera d), del DPR 600/1973, può essere fondato sulle risultanze degli studi di settore soltanto qualora i ricavi presuntivi da essi desumibili costituiscano una “grave incongruenza” con quelli dichiarati dal contribuente.

Uno scostamento del 7%, come nel caso oggetto della sentenza citata, non integra il requisito di gravità previsto dalla legge e non permette in nessun caso di fondare un qualsiasi atto di accertamento sulle risultanze dello studio di settore.

I giudici di merito, infatti, hanno riconosciuto una “grave incongruenza” in presenza di uno scostamento almeno pari al 25%-30%.
– il principio è stata ribadito e rafforzato dalla sentenza n. 10778 del 19 aprile 2011 nella quale la Corte di Cassazione ha affermato in sostanza che l’ assenza del presupposto della grave incongruenza fa sì che l’ufficio non possa neanche attivarsi per l’accertamento “da studi di settore”:  il presupposto della gravità dello scostamento, deve quindi sussistere ancor prima di procedere all’accertamento.

Per cui il fisco deve preliminarmente verificare la sussistenza di una grave incogruità, per poi successivamente raccordare l’elemento indiziario con altre circostanze di conforto della stima operata (tenore di vita dell’imprenditore / soci, indici aziendali, gestione antieconomica ecc.)

Fabio Mancini
dottore commercialista – revisore contabile
Studio di consulenza fiscale e del lavoro
Termoli

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